Diffamazione e ingiuria sui social network I Quanto rischi se perdi il controllo e cosa puoi fare se ti offendono
I social network sono diventati una seconda realtà che combacia perfettamente con il nostro quotidiano, e come ogni realtà per essere pacifica e vivibile ha bisogno delle sue regole. Qual è la differenza tra l’ingiuria e la diffamazione? Ma soprattutto, quali sono i rischi principali di chi si espone sui social?
Il problema dei leoni da tastiera sui social network continua a dilagare. Con l’idea di essere dietro uno schermo è più facile insultare senza metterci la faccia, ci si sente autorizzati a dire e offendere in qualsiasi maniera, soprattutto quando si tratta di account fake. In realtà le tutele ci sono, solo che non tutti ne sono a conoscenza. La diffamazione sui social è infatti denunciabile.
Nell’ultimo periodo anche il giornalista Federico Rampini ha trattato il problema in “Suicidio occidentale”, parlando di cancel culture, o cultura della cancellazione. “L’avanzata di una nuova forma di pensiero sono in apparenza progressista ma che cancella i disobbedienti privandoli del diritto di parola, denunciando pubblicamente persone accusate di aver offeso il valore sacro del politically correct”.
In un certo senso adesso sui social ci sono due fenomeni da tenere a bada: da una parte lo storico leone da tastiera che insulta senza reali scopi, dall’altra i giustizieri, ovvero coloro che insultano e mettono alla gogna chi ha sbagliato, assumendo in sostanza lo stesso atteggiamento tossico dei leoni da tastiera, con l’alibi del far giustizia. Definibile anche come una mob justice, ovvero la giustizia della folla scatenata che secoli fa si riferiva ai linciaggi in piazza, ad oggi invece si rifà all’aggressività del pubblico social quando si schiera contro qualche individuo (si pensi al caso della studentessa Carlotta).
Insomma, il clima di intolleranza si sta espandendo a macchia d’olio sui social, ma come ci si può diffendere?
La differenza tra diffamazione e ingiuria, quando potersi difendere dai leoni da tastiera
Il discorso d’odio (dall’inglese hate speech) è un fenomeno che degenera spesso in diffamazione sui social. È una involuzione delle relazioni sociali su internet della quale si possono ricercare le origini sin dai primi anni della diffusione di queste piattaforme social.
Le ipotesi di reato più comuni tra quelle configurate dalla perpetrazione di insulti sui social e discorsi d’odio, sono:
- La diffamazione (reato sancito dall’articolo 595 del codice penale).
- La minaccia (reato articolo 612 codice penale).
- Si può configurare anche l’ingiuria, codificato come art. 594 c.p., che disciplinava il reato di ingiuria: “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516”. Questo reato è stato depenalizzato per effetto del decreto legislativo 15 gennaio 2016, numero 7.
L’insulto è diffamazione e si configura ogni volta che si offende la reputazione di una persona assente, davanti ad almeno altre due persone. In parole ancora più semplici, spettegolare con un amico di qualcuno non è diffamazione, ma spettegolare di qualcuno con un amico di fronte alla presenza di altre persone è diffamazione. Il reato scatta solo se c’è offesa alla reputazione, per tale dovendosi intendere la considerazione che gli altri hanno della vittima. La reputazione può essere di qualsiasi tipo: professionale, sociale, familiare, ecc. Nei social il rischio è alto perché il pubblico è molto più vasto e la diffamazione potrebbe espandersi in poche ore a migliaia di persone.
Mentre la diffamazione semplice può essere punita al massimo con una multa, la diffamazione aggravata è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni o con una multa non inferiore a 516 euro. La persona che ritiene di essere stata offesa su internet o sui social, può sporgere querela alle autorità entro 3 mesi dal momento in cui ha scoperto la presunta diffamazione. Non occorre un avvocato, perché è sufficiente recarsi di persona presso il più vicino comando di polizia o stazione dei carabinieri e raccontare il fatto. O rivolgendosi alla polizia postale.
Quando l’offesa sui social è irrilevante ed è ingiuria
Con una sentenza del 2021 (la numero 44662), la Corte di Cassazione ha stabilito che non tutte le ipotesi di offese sui social network sono sanzionabili penalmente. La Suprema Corte ha stabilito che si può trattare di ingiuria (illecito civile e non penale) se la parte lesa è on line. In particolare, lo ha stabilito per un caso avvenuto a Catanzaro, un uomo che tramite i social aveva mandato messaggi di insulti in una chat in tempo reale mentre l’insultato era on line. In sostanza, quando l’insulto arriva in una chat con la parte lesa presente non può definirsi diffamazione, ma ingiuria, e quindi non sanzionabili penalmente.