Desta non poca preoccupazione il fenomeno per il quale si trasmettono dati aziendali tramite i messaggi di WhatsApp. Uno studio di Veritas Technologies, azienda leader da oltre 20 anni nel settore del Data Protection, rivela che tre dipendenti su quattro usano l’applicazione per la trasmissione di dati dell’azienda di appartenenza. E quasi tutti mostrano consapevolezza delle insidie che si nascondono nel loro operato. Federprivacy ha lanciato un sondaggio secondo il quale il 54% di professionisti e manager intervistati fa lo stesso, con una certa frequenza.
Parliamoci chiaramente, una volta tanto, il patron Marc Zuckerberg non ci pare attaccabile. Il mezzo è quel che è, con limiti evidenti di affidabilità, specie quando usato in maniera inopportuna, come nel caso dei dati riservati. L’ufficialità delle e-mail aziendali sembra pericolosamente messa da parte dall’uso smodato e inappropriato della App-messaggi più famosa fra tutte. Così da offrire ai malintenzionati del Web una “visita gratuita” alle scartoffie di qualsiasi ufficio. Lo smart working diventa inevitabilmente complice di questa antipatica vicenda. Lo è ancor di più la fretta, quasi sempre cattiva consigliera. L’inoltro alla persona sbagliata diventa spesso errore irreparabile. Cosicché foto, cuoricini, saluti ed auguri alle persone care viaggiano frequentemente in compagnia di bilanci, estratti conto, dati sul personale, compresi quelli attuali relativi al Covid-19. C’è un aspetto non trascurabile che aggrava ancor più il problema. Se, come si è detto, il fenomeno si è accentuato con la pandemia e conseguente lavoro da casa, si sa già, come dichiarano gli intervistati del sondaggio, che l’80% di essi non pensa assolutamente di abbandonare questa modalità, quando “tutto tornerà come prima”. Non si mostra ottimista Nicola Berardi, che di Federprivacy è Presidente, quando dichiara: “le aziende già da tempo dedicano impegno, denaro e risorse per mantenere un livello ottimale di adeguamento al GDPR. Ciononostante esse spesso perdono il controllo di molti dati personali proprio per il fatto che molti dipendenti trovano allettante questo tipo di escamotage che fa risparmiare del tempo, ignorando le misure delle policy aziendali. Quale il rimedio? Federprivacy che, lo ricordiamo, è l’Associazione italiana dei professionisti della privacy e della protezione dei dati personali, con la Circolare n. 1/2021 ha reso disponibile ai propri associati un vero e proprio decalogo di regole da osservare, con ampio riferimento al GDPR. Nel 60% dei casi, le policy aziendali sono corredate già di un regolamento per la disciplina nell’uso delle app di messaggistica. E, considerando che sono previste sanzioni disciplinari, spesso pure applicate, per coloro che non vi si adeguano, ben si capisce che la soluzione del problema non si trova proprio dietro l’angolo.